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PIANO JAZZ TRIO, CHE PASSIONE!

Più volte si è scritto sull’importanza del trio piano-basso-batteria nella storia, ma potremmo dire, nell’economia del jazz.

È formazione tipicamente jazzistica, che ha contribuito all’evoluzione di questa musica. Volendo scomodare un termine filosofico, il trio è la “monade” del jazz: non è uno strumento singolo, ma suona come un solo strumento concentrando in sé tutte le caratteristiche essenziali di interplay (a partire almeno dall’esperienza di quel gigante che fu Bill Evans).

   Proprio due trii hanno impressionato in questo scorcio di stagione, chiamati per la rassegna “Le Strade del Jazz”, dal profilo artistico sempre intrigante: entrambi i titolari sono pianisti ampiamente sottovalutati. Kenny Werner ha addirittura deciso di non registrare più in studio: a Castelfidardo abbiamo capito perché. La sua proposta presenta un approccio olistico, di taglio quasi europeo, ripercorrendo senza soluzione di continuità – ma con solidissimi agganci jazzistici – le composizioni per pianoforte. Accostare Bach ad Horace Silver è un esempio (forse scomodo per Bach, diciamolo sottovoce…) di questo metodo: e aver dietro il contrabbasso più intonato, quasi classico, recentemente ascoltato e un batterista spumeggiante, quanto aderente al “testo”, come Ari Hoenig rende scorrevole una musica pur impegnativa.

   Ad Ostra Frank Kimbrough ha forse impressionato ancor più come pianista, muovendosi in un ambito che raggiunge il primo Jarrett partendo da Paul Bley, e di qui andando oltre: dove composizioni originali si alternano a interpretazioni di standard, in un approccio “americano”, disinvolto ma non semplicistico, in cui si esaltano gli accostamenti country a ballad o rutilanti impennate funky-gospel. Anche qui la scelta del repertorio è tratto distintivo: aver ripescato “Svengali” di Gil Evans, con quel tema-ritmo dal sapore raveliano, è stata una gioia per tutti gli appassionati.

 

Andrea Piermattei

 


fonte:Corriere Adriatico – rubrica A tutto Jazz (11/03/05)

 

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