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Riccardo Mei

“A Lot Of Livin’ To Do” – Go4 (2005/2001)

A Lot Of Livin’ To Do / Body And Soul /Beyond The Sea /Just In Time /The Tender Trap /Our Love Is Here To Stay /The Very Thought Of You /Dinner For One, Please James – Goodbye – Tanks For The Memory /My Kind Of Town

Riccardo Mei, canto; Marcello Rosa, trombone e arrangiamenti; Dino Piana, Julia Rogers, trombone; Fabrizio Bosso, Aldo Bassi, tromba; Giorgio Cuscito, pianoforte; Pietro Lussu, pianoforte; Francesco Puglisi, contrabbasso; Pietro Ciancaglini, contrabbasso; Lorenzo Tucci, batteria; Stefano Rossini, percussioni

Nancy /All The Way /I Get A Kick Out Of You /Angel Eyes /The Lady Is A Tramp /Where Or When

Riccardo Mei, canto; Bill Watrous, trombone; Massimo Pirone, trombone e arrangiamenti; Paolo Bocabella,  Enzo De Rosa, Guglielmo Battistelli, trombone; Alessandro Bonanno, pianoforte; Giorgio Rosciglione, contrabbasso; Gegè Munari, batteria; Massimo D’Agostino, batteria

Non mi capita quasi mai, ma stavolta mi è venuta voglia di riascoltare un disco dall’inizio subito dopo il primo ascolto. E’ vero, è una nostra creatura (terza uscita dell’etichetta Go4), ma ho cercato di essere il più obiettivo possibile.

La realtà è che adoro questi dischi, mi fanno capire una volta per tutte che il jazz è ancora vivo e vitale, pieno di passione e sentimento e come riesca ad abbattere qualsiasi confine geografico e culturale.
Su Riccardo Mei ho scritto già in tante altre occasioni che corro il serio rischio di ripetermi. Eppure, pur conoscendolo da anni sono rimasto colpito non per quella evidente maturità che si poteva facilmente prevedere, ma per l’immacolata, anzi forse vieppiù accentuata, adesione entusiastica, pura gioia per lo spirito, ad un repertorio così “classico”  e battuto e verso un mondo, quello dei “crooner”, ancora vivissimo e seguito (penso a Michael Bublè e Diana Krall, Peter Cincotti e Stacey Kent).
Le cose da dire su questo disco prezioso sono molte, ma vedo di sintetizzarle. Riccardo possedeva una seduta, breve quanto intensa, con un ospite prestigioso quale Bill Watrous, trombonista sensazionale e sicuramente sottoregistrato. Trova subito la soluzione giusta, anche se i tempi di realizzazione si allungano: ispirarsi a grandi arrangiatori quali Neal Hefti (la mitica seduta di Frank Sinatra “And Swinging Brass”, del 1962), Marty Paich (il Dek-tette dietro Mel Tormé), Gil Evans e Ralph Burns e uniformare il disco privilegiando il suono degli ottoni come sfondo. La scelta, a questo punto, non poteva cadere che su Marcello Rosa, da sempre alle prese con scelte timbriche basate sull’impasto tra più tromboni e trombe. Marcello, jazzista vero, ironico quanto intelligente, diversifica però la sua seduta dall’altra dal punto di vista ritmico: se Massimo Pirone, giovane trombonista assai esperto delle cose “sinatriane”, mette al servizio di Watrous delle partiture tendenzialmente di carattere impressionistico e lirico, egli punta su un più ampio spettro di colori e ritmi e su una lettura quindi più solare ed espressionista.
Riccardo vive ormai di luce propria; i rimandi stilistici a Sinatra, Bing Crosby, Bobby Darin, Tony Bennett , Dick Haymes, Mark Murphy, Tom Lellis e Bobby McFerrin affiorano qua e là ma sono del tutto filtrati da una personalità definita e subito riconoscibile, che fa leva su una totale acquisizione del testo che gli permette sempre di raccontare una storia (“Io sono quello che suono”, diceva Miles Davis). Qui, in due situazioni diverse ma accomunabili, il cantante si trova come un pesce nell’acqua, lontano mille miglia da qualsiasi tentazione revivalista. Il repertorio, scelto con gusto ineccepibile, appare una sfida vinta sul piano delle emozioni e della freschezza espositiva.
Eccezionali mi sembrano “The Tender Trap” e il medley, in cui i brani scivolano uno nell’altro con una naturalezza incantevole (splendido il “Dinner For One”, di cui ricordo rare e toccanti versioni), tra i brani con Rosa; “The Lady Is A Tramp”, dove è possibile ascoltare un gustoso duetto per voce e trombone, e soprattutto “Angel Eyes”, a mio parere uno dei più bei temi che siano mai stati scritti, si stagliano invece tra quelli con Bill Watrous.
Ma, nel loro insieme, tutti i pezzi concorrono a far di “A Lot of Livin’ To Do” un altro caposaldo del jazz vocale in Italia, anche se sono convinto che questo disco sia di assoluto livello internazionale.
Un ricco libretto con opportune disamine dello stesso Riccardo Mei, nonchè una gustosa presentazione di Carlo Loffredo, completano un prodotto che piacerà ai jazzofili e, forse, anche ai tanti che comprano Bublè e la Krall come noccioline: ne basterebbe appena un decimo per renderci tutti più felici, contenti e, perché no, con qualche euro in più in tasca.
Sarà importante quindi che il disco si faccia sentire; a tale proposito se, chi legge, ha voglia di organizzare un bel concerto di Riccardo dedicato a Sinatra e allo swing, ci interpelli senza indugi.

Massimo Tarabelli

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