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AHMED ABDUL-MALIK “Spellbound” – REAL GONE MUSIC

AHMED ABDUL-MALIK

“Spellbound” – REAL GONE MUSIC (ex Status ; 1964)

Spellbound / Never On Sunday /Body and Soul /Song Of Delilah / Cinema Blues

Ahmed Abdul-Malik, contrabbasso; Ray Nance, cornetta, violino; Seldon Powell, sax tenore, flauto; Paul Neves, pianoforte; Walter Perkins, batteria; Hamza Aldeen, oud

Ci metti tutto l’impegno possibile, ascolti le novità e te le fai piacere perché se no sei fuori, non sei allineato con l’attualità, eccetera eccetera. Poi arriva un disco come questo, negletto e dimenticato, che per fortuna una piccola etichetta come la Real Gone Music si preoccupa di far tornare alla luce, e le cose tornano al loro posto. Ahmed Abdul-Malik è conosciuto soprattutto per esser stato il contrabbassista di Thelonious Monk negli anni ’50 (1957-58 per la precisione) e, avvicinandosi un pochino di più, per aver introdotto, primo fra tutti, uno strumento insolito come l’oud (simile ad un liuto corto, di origine araba)e aperture musicali a tutto tondo, figlie di un retaggio che parte da origini sudanesi. Contrabbassista possente e creativo, in grado di servire leader diversi (Art Blakey, Don Byas, Randy Weston, Walt Dickerson), ma con uno spiccato senso progettuale, Ahmed registrò anche da leader dischi magari non fondamentali, ma sicuramente emblematici di un esotismo ancora non di moda (“Jazz Sahara”, “East Meets West”, “Sounds Of Africa”, “Eastern Moods”, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60). “Spellbound” è il suo ultimo inciso, e in poco più di 35 minuti il bassista ci dà un saggio della sua visione musicale, ma soprattutto un concentrato di cosa dovrebbe essere il jazz, a prescindere dai suoi protagonisti. Attraverso un repertorio rivolto alla musica da film, di cui riprende tre temi (un quarto, il tema d’amore da “Spartaco”, è rimasto inedito), uno standard e un originale, il bassista impone uno swing leggero e inesorabile, dinamico e allo stesso tempo teso verso un’unica direzione pur nell’eclettismo degli interpreti. Ray Nance, splendido cornettista e violinista (a volte anche cantante pregevole, di stoffa armstronghiana) legato sì a Duke Ellington, ma con una storia che non rifiuta i moderni (ascoltate, se lo trovate, “Huffin’ ‘N  Puffin’” del 1971, registrato per la MPS tedesca accanto a Kenny Drew, Ron Mathewson e Daniel Humair), ha poco da spartire con Seldon Powell, magnifico e del tutto sottovalutato tenorista e flautista di scuola basiana, da Lester Young in avanti, eppure i due si intendono a meraviglia, dando vita ad un gioco delle parti affascinante come spesso accade quando si incontrano musicisti di indirizzo dissimile. Forse, però, colui che mi ha più colpito è il pianista Paul Neves, al quale l’etichetta di sottovalutato, così tanto utilizzata nel campo del jazz, sta addirittura larga, in quanto nel suo caso si può benissimo parlare di totale ignoranza. Leggo nelle note che ha suonato con Coleman Hawkins, Zoot Sims, Lucky Thompson (presente nel disco doppio della Uptown “New York City, 1964-65”), Joe Lee Wilson, ma poi le sue tracce si perdono. Un vero peccato, perché il suo stile appare un riuscito mix tra la forza esplosiva di Hampton Hawes e l’eleganza contenuta di Hank Jones, capace di sorprendere e di catturare l’attenzione  grazie ad un relax d’esecuzione esemplare. Ecco, se dovessi trovare una sola parola per descrivere questo disco utilizzerei proprio questa : esemplare. Così è la versione di “Body and Soul” con Seldon Powell che attacca subito con l’improvvisazione tralasciando la melodia, così sono gli interventi di violino e flauto (magnifici) in “Song of Delilah”, e infine è tale la scelta di Ahmed di rimanere sullo sfondo, lasciandosi uno spazio solistico soltanto nel blues finale, un solo per nulla scontato e memore della grande lezione di Charles Mingus. Se Walter Perkins si conferma il solito maestro, meraviglioso alle spazzole, la presenza dell’oud  è appena un colore in più, mai sopra le righe e del tutto consono al clima generale. Insomma, non lasciatevi scappare questo “Spellbound”, è uscito da poco ed è perfino distribuito in Italia dalla IRD, però sbrigatevi,  perché titoli del genere fanno presto a ritornare nell’ombra.

Massimo Tarabelli

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