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ANDY BEY “American Song” – Minor Music (2003)

ANDY BEY

“American Song”  – Minor Music (2003)

 

Never Let Me Go /Prelude To A Kiss /Speak Low /Angel Eyes /Midnight Sun /Caravan /Lush Life /Satin Doll /Paper Moon /Lonely Town /Look

 

Andy Bey, canto; Vernell Garnett, tromba; Steve Davis, trombone; Frank Wess, sax tenore, flauto; Dwight Andrews, clarinetti, flauto; Geri Allen, pianoforte; Paul Meyers, chitarra; Kiyoshi Kitagawa, contrabbasso; Mark McLean, batteria; Mino Cinelu, percussioni

 

Nel mondo del jazz Andy Bey è conosciuto soprattutto per la sua lunga collaborazione con Horace Silver ( l’incisione del ciclo “The United States Of Mind”, nei primi anni ’70, e poi sporadicamente per circa un ventennio).

 

Ha fatto molto di più, evidentemente; fin dalla fine degli anni ’50 si era unito con le sorelle per formare un trio, “Andy and the Bey Sisters”, per l’appunto, che si era stabilito per qualche tempo in Europa e aveva inciso dei dischi di un certo interesse. In seguito la sua attività si è svolta dietro le quinte, tra insegnamenti e concerti in club, tanto che il suo nome fu dimenticato. A dire il vero non è che lo ammirassi più di tanto. Era del tutto funzionale alla musica di Silver, d’accordo, ma il suo canto, così limitato nell’estensione e nel timbro, con un vibrato secco e pronunciato anche durante la frase, me lo faceva apparire modesto e a tratti stucchevole, soprattutto se rapportato con i giganti che allora dominavano la scena vocale. Poi gli ultimi dischi, una maturità artistica cresciuta notevolmente alla pari con l’età non più verde (ha superato da poco i sessantacinque), la concorrenza di cantanti giovani e agguerriti, bravi finché volete, ma pur sempre dei cloni, l’hanno riportato a un livello di eccellenza forse insperato. Adesso non si può che ammirare la capacità di Bey di non copiare nessuno, e di aver vinto quindi la sua “battaglia”. Il repertorio si è arricchito di molto; ora sono le ballads e gli standard a far da padrone, resi sempre beninteso con quel senso del blues e della tradizione “soul” che ne hanno marcato nel tempo lo stile inconfondibile.

Ecco, Andy Bey è uno stilista, con cui oggi si deve fare i conti. Magari difficilissimo da seguire, ma pur sempre un modello di sintesi e di sobrietà interpretativa non disgiunta da una rara padronanza dei versi. Il fatto che poi Andy sia anche pianista non può che giovargli dal lato dell’imprevedibilità armonica e improvvisativa. In questo disco, giustamente candidato al “Grammy”, gli esempi di tale peculiare approccio sono molteplici e in primo luogo nelle ballads, “Never Let Me Go”, “Lush Life” e la conclusiva, estranea al songbook, “Look”, eseguita in mirabile duo con Geri Allen. A proposito di quest’ultima: il suo apporto, sia come accompagnatrice che come arrangiatrice dei fiati, è superbo, alla stessa stregua dei soli al flauto e tenore di Frank Wess, incredibili per un uomo ormai sull’ottantina.

Avrei soltanto tralasciato qua e là i ricami di chitarra acustica e le susseguenti atmosfere brasiliane, che con Andy Bey non c’entrano per nulla, ma si tratta di un piccolo neo in un disco altrimenti bellissimo e vivo, dai risvolti molto moderni nonostante il repertorio antico.

 

Massimo Tarabelli

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