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DICK HAYMES “For You, For Me, For Evermore” – Audiophile LP (1976)

L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA

DICK HAYMES

“For You, For Me, For Evermore” – Audiophile LP (1976)

The Sounds Around The House /They Can’t Take That Away From Me /I Only Have Eyes For You /Bidin’ My Time /You Must Have Been A Beautiful Baby/ Someone To Watch Over Me /Night Talk /Jeepers Creepers /How Long Has This Been Going On? /Medley : I’ll Get By – It Had To Be You /A Foggy Day /Nice Work If You Can Get It /Where’s The Child I Used To Hold?/For You, For Me, For Evermore

Dick Haymes, voce; Loonis McGlohon, pianoforte, arrangiamenti; Terry Lassiter, contrabbasso; Jim Lackey, batteria

Mi viene da sorridere ogni volta che vedo accostato il termine “crooner” a qualsiasi cantante di bell’aspetto, con giacca e cravatta, e ben pettinato. In realtà ci vuole molto altro per essere definito tale, ma la superficialità dominante, figlia di un trituramento culturale per cui il qui e ora è l’unica cosa che conti, respinge brutalmente la volontà di capire e approfondire. Chiamatemi illuso, ma io continuo a provarci. Dunque, il crooner è un cantante che, evitando qualsiasi artificio spettacolare o tecnico, punta a rivolgersi all’ascoltatore in modo privilegiato, cercando di instaurare con lui un rapporto confidenziale. La sua figura, essenzialmente maschile, emerge nel periodo delle grandi orchestre swing degli anni ’30, nel momento in cui, grazie ad un approccio stretto con il microfono, comincia ad affrontare un repertorio formato in larghissima parte da slow. L’archetipo è di sicuro Bing Crosby con i suoi derivati (Perry Como, Dean Martin), seguito poi anche da molti cantanti di colore (Pha Terrell, Herb Jeffries, Al Hibbler, Billy Eckstine,Arthur Prysock, ecc.); e certamente il più grande fu Sinatra, pur se il suo stile risultò nel tempo molto più aperto. Chi tenne maggiormente testa a “The Voice” fu proprio Dick Haymes, nome noto magari a chi ha passato la cinquantina, ma del tutto sconosciuto alle ultime generazioni. Dick è il crooner per antonomasia, capace di esprimersi al meglio soltanto come interprete di ballad. Formatosi nelle big band di Harry James e Tommy Dorsey, dove sostituisce Frank Sinatra, per l’appunto, ottiene un successo clamoroso negli anni ’40 con successi discografici a iosa, soprattutto per la Decca (“You Don’t Know What Love Is”, “All Or Nothing At All”, “You’ll Never Know”, “Little White Lies”), e inizia una notevole carriera che si sviluppa, grazie ad un indubbio fascino personale, anche nel cinema. La vita privata, al contrario, risulterà un disastro : ben sette mogli (la più famosa delle quali sarà Rita Hayworth, sposata nel 1952), crolli finanziari continui, alcolismo devastante, problemi con il governo americano per via di una cittadinanza sempre rifiutata (Dick era nato in Argentina da genitori inglesi), sono aspetti che lo spingono all’esilio volontario in Europa, Irlanda in particolare, dove intraprende la dura strada della disintossicazione. Infine, negli anni ’70, Dick viene richiamato a New York per dei piccoli ingaggi in qualche albergo; sembra rinato, è in ottima forma, e la raffinata Audiophile, specializzata nel canto più sofisticato, gli apre le porte dello studio di registrazione per qualche album che gli permette di tornare, se non proprio al successo commerciale, almeno all’attenzione degli appassionati.

Nel disco che vi invito a cercare e ad ascoltare, le note di copertina sono di Alec Wilder, ritratto in una foto nel retro accanto al cantante e a McGlohon, sensibile pianista pressoché fisso dell’etichetta. Wilder è uno dei più grandi compositori dell’American Songbook; alla sua penna si devono immortali quali “I’ll Be Around”, “Moon And Sand”, “South To a Warmer Place” (che Sinatra portò al suo massimo splendore nel grande “She Shot Me Down” per la Reprise), “While We’re Young”, “Trouble Is A Man” e “Who Can I Turn To”, tanto per citare qualche titolo. Qui, in mezzo a standard molto famosi di Gershwin e Harry Warren, Wilder gli affida invece tre song “minori”, nessuno mai inciso prima tranne uno da parte di Mabel Mercer, il che è tutto dire. E sono interpretazioni straordinarie, specialmente “Night Talk” e “Where’s The Child I Used To Hold?”, che colpiscono per la capacità, ancora intatta se non addirittura più matura che mai, di impadronirsi del testo e rivelarne tutta l’intima malinconia, il commovente rimpianto per le occasioni perdute. Ecco cosa rimane di Dick Haymes, a distanza di oltre trent’anni dalla morte, avvenuta nel 1980 : una lezione di eleganza e sobrietà, ma allo stesso tempo di profonda sintonia con le liriche dei brani, in modo da renderne sempre vive e attuali il perenne significato. La bella voce e lo specchio sono elementi accessori, ben accetti, ma non fondamentali.

Massimo Tarabelli

PS : Tra gli epigoni di Dick Haymes, il più emozionante rimane il caldo baritono di David Allyn, cantante dal romanticismo misterioso e affascinante, i cui dischi per la World Pacific, Discovery, Audiophile e Xanadu (lo splendido “Don’t Look Back”, in duo con il pianista Barry Harris) sono di grande interesse per il jazzofilo. Altamente consigliato.

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