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PAT MARTINO "Undeniable"

PAT MARTINO : “Undeniable” – HighNote (2011)

Lean Years / Inside Out /Goin’ To A Meeting/Double Play /
Midnight Special /’Round Midnight /Side Effect

Pat Martino,chitarra;
Eric Alexander, sax tenore;
Tony Monaco, organo;
Jeff Watts, batteria

 

Pat Martino, classe 1944, è una leggenda vivente del jazz, forse è inutile e anche scontato ribadirlo. Le sue vicissitudini artistiche, e soprattutto fisiche, sono arcinote, tanto da risultare oggetto di studio e di culto. Non è questa l’occasione per ricordarle, ma è utile farne cenno per confermare quanto siano state importanti in un processo di maturazione che, a sentire questo ultimo disco, è ancora lontano dall’essere definito. La “scorza” della musica è pur sempre quella, devota a Wes Montgomery e ad un mondo espressivo basato sul “groove”, sul giro del blues, su una presa armonica e ritmica molto ricca e swingante.

Il jazz senza se e senza ma, insomma. Ascoltando Pat Martino si battono il piede e le mani, come puntualmente fa il pubblico del Blues Alley di Washington, celebre club dove è stata registrata questa seduta. Ma io non mi fermo qui. Sotto quelle frasi pulite e virtuose, quei climi solo in apparenza già sentiti, si cela un artista immenso, che è riuscito a fondere tecnica e spiritualità, senso dello spazio, astrazione e concretezza come forse nessun altro nella scena di oggi. (Concentratevi bene in “Double Play”, per favore). Ogni suo disco è un passo ulteriore verso confini ignoti e inesplorabili per i più, anche se il linguaggio mantiene dei codici di decifrazione già assimilati dalla massa degli ascoltatori. Ma, d’altronde non è stato così per tutti gli innovatori e le figure maggiori? Parker, Lester, Ornette, Coltrane, Miles partirono da basi solide come il blues, la forma canzone e arrivarono dove li condusse la loro arte. Martino (o Azzara, come ci rammenta la trascrizione del nome del principale compositore di questi brani) ha bisogno di una ritmica potente che assecondi i suoi voli solistici, e di poco altro, meglio se al suo fianco compare un organista. Da Trudy Pitts, presente nell’album di esordio (“El Hombre”, 1967), passando poi per Brother Jack McDuff, Jimmy Smith, Don Patterson, Richard Groove Holmes e altri, il chitarrista ha trovato nelle note dell’organo la cornice ideale per incastonare il suo strumento, mantenendo quindi ben viva una nobile tradizione nel jazz. E se fino all’anno precedente Pat Martino si circondava di buoni musicisti, questo nuovo quartetto può invece vantare nomi di prima grandezza, come il sassofonista Eric Alexander, già spesso suo collaboratore (il nostro festival li fece incontrare nell’edizione del 2008 alle Muse,  spero ricorderete), l’organista Tony Monaco, sollecitato al massimo proprio in “Double Play”, una delle vette del disco, e l’eccellente batterista Jeff Watts, capace di calarsi nella parte di propulsore ritmico senza perdere un grammo della propria fantasia e personalità.  Accanto a partner di simile livello, Pat si esalta in composizioni nuove di zecca che si muovono su un percorso fatto di blues, minor tunes, shuffle, ballads (il tema di Monk, anche se l’abbiamo sentito migliaia di volte, in questa versione ci prende e commuove come poche altre occasioni), reso con una profondità tale da perpetuarne l’esistenza. Già,  tutto questo ci sembra per davvero “innegabile”!

Massimo Tarabelli

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