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PAUL GONSALVES – JOHNNY HODGES : “Ellingtonia Moods & Blues” – RCA Victor (1960; LP)

It’s Something That You Ought To Know / Chocataw /
The Line-Up / Way, Way Back /Daydreams /
I’m Beginning To See The Light / D. A. Blues

 

Ray Nance, tromba;
Mitchell “Booty” Wood, trombone;
Johnny Hodges, sax alto;
Paul Gonsalves, sax tenore;
Jimmy Jones, pianoforte;
Al Hall, contrabbasso;
Oliver Jackson, batteria

 

Titolo tra i meno citati e ricordati dell’universo ellingtoniano, questo “Ellingtonia Moods & Blues” è in realtà un fulgido esempio di relax interpretativo, in cui gli apporti solistici stavolta prendono il sopravvento sugli arrangiamenti, e che mantiene alla perfezione quello che promette. In questa seduta voluta da Stanley Dance, il massimo critico ed esperto della musica del Duca, i musicisti emergono come forse mai nel passato. Mi riferisco, logicamente, ai lunghissimi periodi di permanenza in orchestra. Paul Gonsalves (1920-1974) vi entrò nel 1950, sostituendo uno dei suoi ispiratori massimi, cioè Ben Webster, e vi rimase per circa un quarto di secolo, contribuendo in modo decisivo al trionfo nel festival di Newport del 1956 con il suo roboante ed interminabile assolo in “Diminuendo And Crescendo In Blue”, rimasto giustamente nella leggenda. Johnny Hodges (1906-1970) fu addirittura sempre presente con Ellington fin dal 1928, a parte una breve parentesi negli anni ’50, quando diresse proprie formazioni in cui comparve, alle prime armi, un molto giovane John Coltrane. Gonsalves e Hodges hanno dato ampie prove di essere dei fuoriclasse, anche da leader, e qui sono a casa loro, ispiratissimi e concentrati al massimo. Dico questo perché conosciamo purtroppo i loro momenti di “stanchezza” e apatia (le dormitine dell’altista e le bevute del tenorista), che talvolta scalfivano una classe immensa che li aveva portati – Hodges soprattutto – a primeggiare nei rispettivi strumenti. Eppure, ve lo sussurro in un orecchio, tra i due le mie preferenze sono sempre andate a Gonsalves , sia perché lo ritengo sottovalutato alla lunga (provate a chiedere ad un qualsiasi jazzofilo i nomi dei sassofonisti preferiti : il suo non uscirà mai), sia perché sono convinto che possedesse un’arma unica, da non spartire con alcuno, cioè un’originalità marcatissima, che si traduceva in una sonorità calda e avvolgente, ventosa, morbida ma allo stesso tempo velata da nuance di solido blues feeling, riconoscibile dopo pochi secondi.                                                                                                                                                                                                                                                          Tornando a questo disco, il materiale tematico appartiene in toto alla tipica filosofia di Ellington :  blues a tempo medio e struggenti ballads (cosa combina Gonsalves in “Daydreams”!) in cui tutta la front line è coinvolta, a partire dal grande trombonista Booty Wood,che in “Way, Way Back” prende un assolo illuminante della sua maestria con la sordina wah-wah, per finire con lo splendido Ray Nance, fido testimone dello stile di Armstrong in “I’m Beginning To See The Light”. La ritmica è discreta e si tiene sullo sfondo, come deve essere, ma si sente, eccome, soprattutto nell’accompagnamento sobrio, musicalissimo e di grande maturità, di Jimmy Jones, d’altronde pianista prediletto di cantanti supreme come Sarah Vaughan, Helen Merrill, Lee Wiley, Ella Fitzgerald, Nancy Wilson.
Dopo cinquant’anni, questo disco ha ancora molto da dirci, sulla verità dello swing e del blues, sull’importanza di Duke Ellington nella storia del ‘900, sul concetto di arte istantanea tipica dei grandi improvvisatori.  Non sarà facile trovarlo; qualche anno fa uscì in Francia una sua ristampa su CD, poi distribuito anche in Italia dalla SonyBmg, la quale poco dopo ha pensato bene di affrontare la crisi chiudendo la porta al jazz, dimenticandosi in questo modo un catalogo che ne determinò le fortune.
Un tesoro nascosto, dunque, da cercare senza indugio.

Massimo Tarabelli

 

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