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Bill Mays a Parigi

Forse è inutile ribadirlo, visto il cartellone dell’Ancona Jazz Summer Festival di quest’anno, ma è chiaro che Bill Mays è tra i nostri favoriti. Quando abbiamo letto sul suo sito che si sarebbe esibito in trio al Club Des Lombards di Parigi il 17 e il 18 maggio non ci abbiamo pensato due volte e siamo partiti. Già è molto raro poterlo ascoltare dal vivo in Europa, e poi si dovevano approfondire alcuni accordi per i suoi tre giorni in esclusiva al nostro festival. L’occasione era proprio da non perdere.

A Parigi il jazz è di casa, come si può intuire; ma quale jazz per cortesia? Ormai tutte le programmazioni sono rivolte a indigesti miscugli contemporanei, e i club non sono da meno, con il risultato che anni or sono non si sapeva dove andare, tanto alta era la qualità delle proposte, mentre adesso si evita accuratamente ogni porta d’ingresso. Il risultato di questa involuzione culturale è che il jazz è diventato sinonimo di moda e tendenze disparatissime, perdendo i suoi agganci con la storia. Il Club Des Lombards è tra i meno peggio di Parigi, ma paga quest’andazzo riservando i suoi cento posti (a occhio, perché l’ambiente è piuttosto buio) ad un pugno di attempati fedelissimi. Di giovani, sempre più ignoranti e menefreghisti dovunque, non abbiamo rilevato traccia in alcuna delle due serate. D’accordo, il prezzo del biglietto era altino ancorché accettabile (25 euro, ma si poteva vedere l’intero concerto), e di sicuro è discutibile il costo di un drink qualsiasi (da 5 euro in su), pur non obbligatorio (ma chi non beve almeno una cosa in oltre tre ore di permanenza al caldo?). E tuttavia le ragioni del disinteresse totale giovanile sono ben altre, secondo me, e da ricondurre appunto alla politica culturale predetta. Un pianista colto, raffinato, elegante, profondamente musicale come Bill Mays può essere apprezzato del tutto da chi ha già digerito Bill Evans e certo pianismo bianco californiano, da Frank Strazzeri a Russ Freeman, da Alan Broadbent a Pete Jolly. Insomma un mondo perduto, colpevolmente dimenticato da chi dovrebbe operare in maniera del tutto diversa.

Le trenta persone (!) riunite attorno al trio sono comunque rimaste fino alla fine, e Bill ci ha onorato con tre set stupendi, diversi l’uno dall’altro ma ugualmente coinvolgenti.

“Siamo appena arrivati dopo otto ore di auto dalla Germania, e siamo piuttosto stanchi – così ci dice Bill appena dopo i saluti – ma di solito basta che cominciamo a suonare e la fatica scompare quasi per incanto”. Tutto vero; si capisce da come i musicisti si guardano, rilanciano le idee, sono contenti nel suonare un jazz così bello e difficile. Il loro songbook sembra non avere limiti; ci sono gli standards, evidentemente, ma anche parecchi originali, dalle strutture a volte molto aperte, e qualche caposaldo tipico del jazz (Monk , Parker, Jimmy Rowles). Bill si è spostato dal classico piano + ritmica a un profondo interplay in cui i tre, ricordiamo gli splendidi Martin Wind al contrabbasso e Matt Wilson alla batteria, svolgono ruoli paritari. Voglio citare “Gone With The Wind” e “Witchcraft”, destrutturati al massimo e via via ricondotti alla fluidità originale dopo un percorso fitto di spazzole, interludi, dialoghi. Una meraviglia, che solo chi è in grado di padroneggiare la musica completamente può sviluppare. E noi sappiamo bene che Bill Mays è stato pianista di tanti grandi leader e, soprattutto, di inarrivabili cantanti (Sarah Vaughan, Frank Sinatra), che ne hanno plasmato l’ansia espressiva, la profondità poetica. Wind è bassista di eccellente intonazione e intuizione, ma la sua statura artistica si evince per lo più dai temi che scrive, molto interessanti e freschi (d’altronde i suoi insegnanti sono stati Kenny Werner e Jim McNeely); Matt Wilson è poi sensazionale, padrone di un drumming swingante e precisissimo e al contempo assai diversificato e frastagliato (a volte, un po’ troppo…). Alle spazzole è uno spettacolo: mi ha ricordato Shelly Manne, addirittura! Il timing è implacabile. Se non fosse per quell’eccesso di “vaudeville” che ogni tanto fa capolino, lo metterei in cima tra i miei favoriti. Ad Ancona non verrà, perché impegnato nel lungo tour della Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, e lo stesso Bill Mays ha scelto Yoron Israel la suo posto, batterista forse meno creativo ma probabilmente più presente, più accompagnatore. “Non vedo l’ora di suonare con Israel – ci ha detto – sono convinto che troveremo una grande intesa”. E se lo afferma Bill Mays non è possibile pensare diversamente.

Arrivederci al ridotto delle Muse nelle serate del 22, 23 e 24 luglio. 

Massimo Tarabelli

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