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MASSIMO MORGANTI “Arrangiamenti” – Notami (2016)

Mi(s)stango /I Got Rhythm /But Not For Me /Lullaby of Birdland /I Wish You Love /Trizilidade /Epitafio /Lorea /We’ll Be Together Again /What’s New

Massimo Morganti, arrangiamenti; Scott Robinson, sax tenore, sax baritono, tromba, euphonium, tarogato; Bill Cunliffe, pianoforte; Martin Wind, contrabbasso; Joe La Barbera, batteria; Diana Torto, voce; Big Band : Massimo Greco, Luca Giardini, Antonello Del Sordo, Giacomo Uncini, Pasquale Paterra, tromba; Carlo Piermartire, Andrea Angeloni, Rosario Liberti, Pierluigi Bastioli, trombone; Simone La Maida, Maurizio Moscatelli, Pedro Spallati, Marco Postacchini, Rossano Emili, ance; Luca Pecchia, chitarra; Chamber Orchestra “Sinfonietta Gigli”

Nel film “Il pranzo di Babette” la grande cuoca Babette afferma, come motivazione di un banchetto memorabile: “Consentite all’artista di dare tutto il meglio di sé”. E’ una frase che mi è tornata in mente subito dopo l’ascolto, attento come merita, di questo disco, che ha origini lontane, almeno dall’esperienza del 2011 tra il quartetto di Martin Wind, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana e Massimo Morganti nella veste di direttore. Allora il repertorio riguardava la musica di Bill Evans, e tutti i musicisti coinvolti si trovarono subito su una medesima lunghezza d’onda, pronti a incontrarsi di nuovo in futuro su un progetto originale. “Ancona Jazz”, promotrice dell’evento, ha continuato ad invitare Morganti e la sua Colours Jazz Orchestra al fianco di personaggi di grande caratura internazionale, ma solo lo scorso anno la magia dell’incontro si è potuta ripetere, quando il quartetto di Wind ha animato alcune serate del festival estivo. Massimo ha quindi preparato delle partiture speciali tenendo conto della personalità degli strumentisti coinvolti, ma soprattutto mantenendo una linea espressiva che fosse in grado di fotografare un mondo variegato sì nelle influenze, ma univoco nel veicolare emozioni, poesia e bellezza. Del resto il protagonista è un musicista dalle tante sfaccettature, le cui potenzialità non finiscono di stupire ed entusiasmare, come uno scrigno di tesori che si rivelano piano piano. Qui la sua unica veste è l’arrangiatore, e forse non poteva essere altrimenti, avendo la possibilità di disporre di così elevate combinazioni di suoni. Massimo affronta un repertorio antico e moderno, restituendo un’immagine del jazz che, soprattutto agli albori, appare come un coacervo di stimoli diversi, divisi tra Africa, Europa, esotismi assortiti (la famosa “anima spagnola” di cui parla Jelly Roll Morton quando si riferisce al jazz primigenio di New Orleans). Ed ecco che “Mi(s)tango” si dimostra l’apertura perfetta per un discorso del genere, sostenuto da un’eccellente prova dell’autrice, Diana Torto. I due standard consecutivi di George Gershwin non tradiscono lo spirito “classico” originale, ma scivolano ben presto in assoli di Robinson al tarogato (sorta di strumento ad ancia simile al clarinetto dal suono vicino al soprano, soprattutto utilizzato nella musica folk di Ungheria e Romania) e tromba in puro stile bop. “Lullaby” prevede un intro maestoso dell’orchestra, molto sollecitata in tutte le sezioni, alle prese con un tempo sincopato e un crescendo finale che può ricordare certe cose di Woody Herman degli anni ’70 (ma i rimandi, nel caso di Morganti, sono assai fuggevoli). Ascolto quindi con grande piacere “I Wish You Love”, canzone di Charles Trenet dal fascino imperituro. Qui Massimo riesce a rendere in modo splendido la malinconia di un amore svanito attraverso un utilizzo sapiente degli archi e dei flauti, che incorniciano poi soli meravigliosi di un commovente Robinson e di uno strepitoso Cunliffe, al quale bastano poche note per riuscire ad entrare nei nostri cuori. Il corpus centrale è affidato a tre originali che prevedono testi in sardo, spagnolo e basco. Sono brani solo in apparenza estranei, perché Massimo intende porre sempre in primo piano la melodia, e le suggestioni in tal senso vivono in qualsiasi latitudine. Chissà dove avrà scovato “Lorea”, che vive di luce abbagliante grazie anche ad un memorabile solo di Robinson al sax tenore, vicino qui più che altrove alla lezione di Stan Getz. Gli ultimi due standard sono altrettanti capolavori rimessi a nuovo da un’abilità unica di arrangiatore (sentite gli archi protagonisti in “What’s New”) e da apporti solistici supremi di Cunliffe, Wind e Robinson, stavolta all’euphonium e al tenore.

Come avrete già capito, il ruolo degli americani è eccezionale, ma non avevo alcun dubbio, conoscendoli bene da anni. Scott Robinson conferma di essere un fuoriclasse, a suo agio in qualsiasi situazione, e francamente mi sono stancato di vedere quanti grandi musicisti vivano ancora di profonda sottovalutazione, mentre avrei volentieri ascoltato di più un pianista stupendo come Bill Cunliffe, altro nome dimenticato, tanto per cambiare. Infine Martin Wind e Joe La Barbera nobilitano il lato ritmico del disco con maestria e eleganza assolute, d’altronde è da tempo che ritengo questo quartetto come il miglior gruppo stabile di jazz del mondo. E anche la Torto dimostra di possedere ragguardevole tecnica e intensa capacità interpretativa, ideale per un progetto del genere. Infatti la bontà di un arrangiatore non risiede solo nelle partiture che scrive, ma anche nella scelta degli interpreti, e Massimo qui ha avuto mano proprio felice. E’ chiaro perciò che questo, anche per sforzo produttivo, è un disco senza altri paragoni nel panorama italiano, di grande valore anche in campo internazionale, e di conseguenza obbligatorio in qualsiasi discoteca che si rispetti.

Piuttosto adesso ci aspettiamo (anzi, vogliamo!) una prova di Massimo Morganti trombonista, magari in quartetto, con una sezione ritmica di quelle esplosive. Babette sarebbe lì, in prima fila, ad applaudire insieme con noi.

Massimo Tarabelli

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