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THAD JONES / MEL LEWIS ORCHESTRA – “All My Yesterdays”

THAD JONES / MEL LEWIS ORCHESTRA
“All My Yesterdays” – Resonance (1966-2016; 2 CD)

CD1 : Back Bone / All My Yesterdays / Big Dipper / Mornin’ Reverend / The Little Pixie / Big Dipper (alternate take)

Thad Jones, tromba, flicorno, direzione, arrangiamenti; Jimmy Nottingham, Snooky Young, Jimmy Owens, Bill Berry, trombe; Bob Brookmeyer, Garnett Brown, Cliff Heather, Jack Rains, tromboni; Jerome Richardson, Jerry Dodgion, sax alto, clarinetto, flauto; Joe Farrell, sax tenore, clarinetto, flauto; Eddie Daniels, sax  tenore, clarinetto; Marv “Doc” Holladay, sax baritono; Hank Jones, pianoforte; Sam Herman, chitarra; Richard Davis, contrabbasso; Mel Lewis, batteria

CD2 : Low Down /Lover Man /Ah, That’s Freedom / Don’t Ever Leave Me / Willow Weep For Me /Mean What You Say /Once Around /Polka Dots and Moonbeams /Mornin’ Reverend /All My Yesterdays / Back Bone

Formazione come sopra ma Danny Stiles al posto di Snooky Young; Tom McIntosh al posto di Bob Brookmeyer; Pepper Adams al posto di Marv “Doc” Holladay

Innanzitutto un forte plauso alla Resonance e alla sua nuova politica legata alla pubblicazione di inediti di grande importanza. Per quanto ho già visto e ascoltato si tratta di CD (e talvolta anche vinili) di rara bellezza editoriale, curatissimi nell’impaginazione e nella resa sonora, talvolta, come in questo caso (un altro è l’eccellente doppio dedicato all’organista Larry Young), con allegato uno stupendo booklet di 90 pagine in cui tra saggi, interviste a sopravvissuti e magnifiche foto in bianco e nero possiamo toccare con mano una fetta di jazz temo irripetibile. Vi sarete accorti del numero di aggettivi roboanti già in poche righe, ma credo che siano del tutto giustificati dopo appena pochi minuti di musica. Anche perché questo non è un inedito qualsiasi dell’orchestra, bensì trattasi del suo esordio al Village Vanguard, avvenuto lunedì 7 Febbraio 1966 (CD1), che avrebbe dato il via ad una prassi che proprio adesso tocca l’anniversario incredibile dei cinquant’anni, ovviamente con formazioni discendenti dall’originaria ma mantenendo fede a repertorio e intendimenti. Le cronache di allora riferiscono di una presenza in sala di numerosi critici, musicisti e produttori discografici, perché in effetti proprio di evento si trattava. Thad Jones aveva riunito alcuni dei migliori e stimati musicisti sulla scena di New York e alcuni giovani di sicuro avvenire, come i sassofonisti Eddie Daniels e Joe Farrell (un paio d’anni dopo scelto da Elvin Jones per il post Coltrane), per dar vita ad una musica nuova e di estremo vigore, in cui arrangiamenti sontuosi si sposavano a soli altrettanto incisivi e fondamentali nell’economia del pezzo. Il mio consiglio è di mettervi seduti e stare pronti ad essere colpiti da un muro di suoni senza altri paragoni. Fin dal tema d’apertura “Back Bone” si respira un’aria di swing, calore ed energia pazzeschi, da lasciare senza fiato. E chi ha avuto la fortuna di assistere ad un concerto dell’orchestra, anche anni dopo, sa bene di cosa parlo. Già vedere all’opera Thad Jones come conduttore era uno spettacolo, sempre alle prese con battiti di mano, rilanci, urla d’incitamento al solista, al richiamo delle sezioni schioccanti come frustate. Per un jazz così vario, anche durante lo stesso brano, non poteva esistere batterista più adeguato di Mel Lewis, forse il migliore nell’ambito del jazz moderno, mai invadente e soprattutto con una musicalità e una capacità di entrare nello spirito del song direi uniche. Il suo cambio tra bacchette e spazzole è forse un marchio di fabbrica, immediatamente riconoscibile, così come il suo timing sul piatto, implacabile. Con lui dietro, i pur eccellenti solisti che si avvicendavano sul palco avevano modo di rendere ancor più brillanti le loro performance, e questo costituiva un valore aggiunto ai già pregevoli arrangiamenti del co-leader.
Il secondo CD, registrato un paio di mesi dopo, dura una ventina di minuti in più e presenta tre soli cambi in formazione, ma una fondamentale, visto che Pepper
Adams, il più grande baritonista di tutti i tempi, non lascerà mai l’orchestra. Qui la musica è forse un pochino più morbida, meno irruente, e fornisce comunque
un’immagine compiuta della band, fin dall’inizio matura e con un repertorio che si proporrà spesso, sia su disco che in concerto. Una domanda ricorrente nelle
interviste contenute nel booklet riguarda l’originalità dell’orchestra nei confronti di nomi illustri del passato. Ebbene, sono d’accordo sul fatto che Thad Jones abbia lavorato tenendo conto di Count Basie soprattutto, nella cui formazione militò a lungo, e dell’approccio di qualche suo arrangiatore, Neal Hefti per l’uso combinato di trombe sordinate e flauti, e poi Sammy Nestico per il blues feeling e Quincy Jones per l’eleganza nelle ballad; ma non dimentico Duke Ellington, Woody Herman, e aggiungerei Gil Fuller e Gerald Wilson, di cui avverto qui e là qualche tipica pennellata di colore. Jones apportò un tocco di straordinaria freschezza e originalità a questo processo di stratificazione,  raccogliendo attorno a sé la crema dei musicisti sulla scena e pensando sempre a come valorizzarli. Jimmy Owens spiega bene questo procedimento, quando dice che Thad scriveva composizioni per piccoli gruppi che adattava poi per big band.
Il vuoto discografico di questa formazione durerà ben poco, infatti nel maggio dello stesso anno la Solid State pubblicò il suo primo disco, oggi difficilmente trovabile, così come quasi tutta la discografia successiva. Perciò questa uscita non è consigliabile, ma semplicemente obbligatoria per neofiti ed esperti.
Certo, chi crede che il jazz sia nato in Europa e che lo swing sia un valore da abbandonare, morto e sepolto, se ne tenga lontano.

Massimo Tarabelli

 

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