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PAT MARTINO “Remember – A Tribute to Wes Montgomery” – Blue Note (2005)

PAT  MARTINO

“Remember – A Tribute to Wes Montgomery” – Blue Note (2005)

 

Four On Six /Groove Yard /Full House /Heartstrings /Twisted Blues /Road Song /West Coast Blues /S.K.J. /If I Should Lose You /Unit 7

 

Pat Martino, chitarra; David Kikoski, pianoforte; John Patitucci, contrabbasso; Scott Allan Robinson, batteria ; Daniel Sadownick, percussioni

 

Una considerazione preliminare : ritengo Pat Martino non soltanto il miglior chitarrista vivente, ma forse anche il jazzista più grande, nel senso artistico e poetico del termine. Nessuno riesce a penetrare la musica come lui, a scoprirne i lati oscuri, ad esplorarne le più recondite bellezze. Basta assistere a un suo concerto per rimanere estasiati e rapiti dalla sola posizione sul palco.

 

E’ chiaro dunque che un disco simile era molto atteso. Per capire cosa il chitarrista avrebbe fatto del repertorio di un’altra indimenticabile figura del passato, un inventore e modello di riferimento per numerosi altri chitarristi a venire. Sappiamo anche che Pat non è poi così vicino stilisticamente a Montgomery; anzi, il suo fraseggio non fa certo leva sull’uso estensivo delle ottave, né tantomeno sull’utilizzo del pollice. Eppure il risultato mi appare entusiasmante. Grazie ad una sensibilità unica, Martino riesce a far rivivere i brani tipici di Montgomery dando allo stesso tempo la misura della propria impronta strumentale. Gli arrangiamenti non sono particolarmente innovativi, e d’altronde questa è musica per solisti; ma leggermente diversi sono i tempi rispetto agli originali, e molto cambiata è la funzione della sezione ritmica, più concentrata su dinamiche e colori.

Pat Martino conferma la sua formidabile maestria in tutte le corde e in ogni parte del manico. Se gli uptempo sono la solita, incredibile, vetrina di  vertiginose fughe nell’iperspazio, le ballad raggiungono vette forse inaspettate di controllo sonoro e di melodicità (“Heartstrings”, a tale proposito, è memorabile).

Kikoski, sollecitato in ogni brano, fornisce un’altra prova maiuscola, costantemente ispirato e prodigo di frasi modernissime. A Patitucci, uno dei più grandi bassisti del mondo, è invece lasciato un solo intervento solistico (in “S.K.J.”, l’altro brano di Milt Jackson): peccato, l’avremmo sentito volentieri di più, ma comunque l’accompagnamento è splendido. Ho qualcosa da ridire infine sulla batteria di Robinson, peraltro l’unico musicista fisso degli ultimi gruppi di Pat Martino; per i miei gusti è eccessivamente colorita, soprattutto nella grancassa. L’intera registrazione appare un pochino cupa, sbilanciata sui toni bassi, e quindi carente di brillantezza. E’ tuttavia un minuscolo difetto di fronte all’importanza e alla riuscita di un disco simile, fondamentale per capire come si dovrebbe rileggere la storia.

 

Massimo Tarabelli

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