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FRANK FOSTER “Well Water” – Piadrum (1977)

FRANK  FOSTER

“Well Water” – Piadrum (1977)

 

Joyspring /Cecilia Is Love / Simone /There’ll Be A Time /Someone’s Rocking My Jazz Boat /Well Water /Three Card Molly

 

Frank Foster, sax tenore, sax soprano; Cecil Bridgewater, Joe Gardner, Don McIntosh, Sinclair Acey, trombe; Kiane Zawadi, Charles Stephens, Janice Robinson, Bill Lowe, trombone; C.I. Williams, Leroy Barton, sax alto, flauto; Bill Cody, Doug Harris, Bill Saxton, sax tenore, flauto; Kennt Rogers, sax baritone; Mickey Tucker, pianoforte; Earl May, contrabbasso, basso elettrico; Elvin Jones, batteria; Babafumi Akunyun, percussioni.

 

Darei il massimo delle votazioni a questo CD se non fosse per la qualità del pianoforte di Tucker, che presenta più di un tasto non ben accordato. Peccato questa scarsa attenzione produttiva, dato che per il resto la qualità della registrazione è ottima.

 

Chissà poi perché un nastro del genere abbia “dormito” per trent’anni in qualche sgabuzzino. Foster, nelle sue esaurienti e illuminanti note di copertina (altro bonus), non ci spiega come sia potuto succedere, ma basta d’altronde ricordarsi un po’ come erano quegli anni per capire molte cose. Il jazz non stava passando un buon momento. Certo, molti grandi musicisti ancora suonavano nel pieno delle forze, concerti e festival si rincorrevano dovunque, ma il clima generale non era favorevole. Il rock imperversava, e il jazz si piegava ai voleri dei produttori enfatizzando il lato funky delle sue ispirazioni e accettando strumentazioni elettriche, spesso di malavoglia. Ma non c’era nulla da fare, altrimenti il mercato ti metteva all’angolo in un attimo. E di questa sorte finì la “Loud Minority Band” di Frank Foster, perlomeno la seduta in questione.

Meglio tardi che mai, comunque. La musica di questo disco è, in una parola, splendida. Il sassofonista, che ricordiamo volentieri nelle file dell’orchestra di Count Basie negli anni ’50 accanto all’altro Frank (Wess, anche eccellente flautista), non possedeva soltanto una magnifica voce strumentale, ma aveva anche doti di compositore non comuni (chi non ricorda “Shiny Stockings”?) e di arrangiatore molto originale, curiosamente affrancato dagli stilemi basiani, se pensiamo ad un Thad Jones o a Neal Hefti, Bill Holman e Sam Nestico. In effetti, le sue orchestrazioni guardavano più alla ribollente scena nera di New York, alla musica dei Messengers, a Woody Shaw, su su fino a Charles Tolliver. La line up della band è molto chiara, al riguardo. A parte l’impatto sonoro, dovuto a una tromba e a un sax in più rispetto alla norma, i musicisti coinvolti venivano dall’area post bop con influenze free, sonorità sporca e grumosa, fraseggio lirico e tumultuoso allo stesso tempo.

Foster analizza lucidamente ogni brano, introduce i solisti, ricorda quel periodo con orgoglio. Io vi rimando volentieri alle sue parole, ma permettemi di citare almeno la suggestiva esposizione del tema di “Joy Spring” (classico di Clifford Brown) per tutti i flauti; il bellissimo “Simone”, un blues in minore a tempo di valzer che lo stesso Foster scrisse in onore di Simone Ginibre (importante manager e organizzatrice francese) e che, ad ogni ascolto, mi commuove sempre più; il brano che dà il titolo al disco, un curioso arrangiamento di una melodia folk russa che si risolve, dopo il tema, in un paio di soli su un tappeto modale di grande modernità; e infine il bonus di “Three Card Molly”, impressionante veicolo per Elvin Jones, da stendere chiunque. Elvin spesso apriva i suoi concerti con questo suo pezzo (così almeno fece allo Sperimentale) e, credetemi, chi non l’ha visto in azione ha perso qualcosa di importante della vita.

Disco da mettere in testa alla lista della spesa.

 

Massimo Tarabelli

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