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ANDREW WHITE – “Passion Flower” – Andrew’s Music 5 (1974 LP)


L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA


ANDREW  WHITE


“Passion Flower” – Andrew’s Music 5 (1974 LP)


Passion Flower /New Blues /Superfly Blues /Straight Ahead Blues /Shaft Blues /Theme


Andrew White, sax tenore; Kevin Toney, pianoforte; Steve Novosel, contrabbasso; Keith Killgo, batteria 


La presenza di Steve Novosel nel trio di Larry Willis, secondo concerto de “Le Strade del Jazz 2010”, mi ha risvegliato il ricordo di un paio di dischi in cui compare questo valoroso, per quanto misconosciuto, contrabbassista: il mitico e straordinario “The Inflated Tear” di Roland Kirk,  e questo misterioso album di Andrew White, figura esoterica, stravagante e bizzarra quanto altre mai.


Appena Novosel lo ha visto (glielo avevo portato per farmelo firmare), la sua reazione è stata “Where have you find it?”, accompagnata da una gran risata. Beh, me lo aveva venduto lo stesso  White, quando venne ad Ancona nel 1981 nel gruppo di Elvin Jones. Si capiva subito che si trattava di un tipo diverso dal solito. Loquace e verboso, non la smetteva mai di parlare di sé e di Coltrane, ma soprattutto della sua etichetta “Andrew’s Music”, con la quale controllava tutta la sua produzione discografica ed editoriale, fatta di libri, dispense, studi musicali e critici eccetera. Un egocentrico, certamente, con molte idee in testa e ferrea volontà di realizzazione, ma per forza di cose condizionato sul piano della visibilità e popolarità. White era sì un coltraniano come tanti, ma nel suo fraseggio entravano Roland Kirk (guarda caso) e una stratificazione di linguaggi ancorati al blues più “dirty”, all’anima più “black” di questa musica. Novosel mi ha detto di aver inciso lo sproposito di cinquanta album con il sassofonista, tutti rarissimi e rintracciabili solo in qualche fondo di magazzino o qualche asta. Le copertine poi erano tutte di uguale design, bianche con il titolo a grandi caratteri e sezione ritmica ancora più in evidenza nel retro, e non facilitavano di sicuro le vendite. Non si capiva nemmeno chi fosse il leader, relegato in basso a destra con lettere così piccole da sembrare invisibile (solo un eccentrico masochista potrebbe comportarsi così).


Il disco, comunque, è molto bello e vale la pena di essere cercato. E’ un trattato sul blues o, per meglio dire, sullo sviluppo armonico e ritmico del blues, dato che i temi sono spesso ridotti a poche note reiterate. Ma qui entrano in gioco altri fattori: il senso di “brotherhood”, l’acquisizione di un linguaggio basilare, il feeling e l’empatia tra i musicisti, lo swing a volte terrificante quasi ostentato a mo’ di recinto verso il senso del bello melodico occidentale. La sezione ritmica è un martello impietoso. Toney è superbo (ascoltate il suo assolo in “Straight Ahead Blues”), ma dato che libri e discografie tacciono su di lui, ho sempre avuto il sospetto che in realtà fosse uno pseudonimo di John Hicks, addirittura, tanto i due stili si sovrappongono; Novosel ha un suono denso e scuro, anomalo per un bianco, e Killgo ha un piatto implacabile. Dal bassista ho anche appreso che Toney ha abbandonato da tempo il jazz preferendo dedicarsi alle spiagge dorate della California e ai lidi danarosi della musica pop, mentre il batterista continua a lavorare nell’area di Washington.


Di Andrew White si sono perse le tracce. Ma, pur essendo un musicista derivativo, merita lo stesso di entrare in discoteca, se non altro come testimone di un periodo storico ancora molto creativo e caratterizzante. 


Massimo Tarabelli

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