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Franco Cerri al Ridotto delle Muse

Alto, dinoccolato, di raffinata eleganza: così è apparso Franco Cerri ieri sera al Ridotto delle Muse per un concerto voluto e organizzato dall’ingegner Peppino Romagnoli accanto ad Ancona Jazz.

Il nostro grande chitarrista e musicista, che per davvero ha contribuito al massimo allo sviluppo del jazz in Italia dal dopoguerra a oggi (giovanissimo, esordì con Gorni Kramer  e il Quartetto Cetra), è sembrato in eccellente forma fisica e mentale, tanto da condire la sua esibizione con frequenti e simpaticissimi aneddoti sui musicisti e sui titoli dei pezzi che avrebbe eseguito. Accanto a sé ha chiamato giovani, ma assai conosciuti, musicisti, quali Augusto Mancinelli, come seconda chitarra, e poi il contrabbassista Paolo Ghetti e il batterista Massimo Manzi. E’ una formula che il maestro predilige: così gli intrecci sonori diventano ricami esili ma vigorosi, al servizio di un’intensa profondità espressiva. I contrappunti nell’esposizione tematica mutano quindi in sostegno ritmico durante gli assolo; allora il gioco si sposta sul piano degli sguardi, delle intese volanti, di quell’empatia che rende il jazz così affascinante e misterioso per il pubblico.

Franco ha confermato di essere punto di riferimento assoluto per la posizione delle mani rispetto allo strumento, e poi maestro di linguaggio: per lui la linea melodica è fondamentale, trampolino di lancio per improvvisazioni spesso legate a un fraseggio a block-chords. Indimenticabili “Bluesette”, gran bel tema di Toots Thielemans, “My Funny Valentine” e “Someday My Prince Will Come”, ma soprattutto “On A Slow Boat To China”, interamente eseguito ad accordi. Augusto possiede una diversa cifra stilistica, più moderna se vogliamo, tendente a privilegiare il momento improvvisativo rispetto al tema, e i suoi lunghi apporti solistici sono a single note, affrontati con ammirevole fluidità e senso architettonico. I suoi due brani in trio sono stati un lirico e non scontato “In A Sentimental Mood” di Duke Ellington e una rilettura in chiave bossa-nova, un pochino azzardata per la verità, di “Giant Steps” di John Coltrane. Per il resto, solo meraviglie : blues, ballads, originali si sono inseguiti senza tralasciare apporti importanti anche dei ritmi, un efficacissimo Manzi alle spazzole, della cui arte è ormai tra i maggiori  custodi in Italia, e un eccellente Paolo Ghetti, senza rivali sul piano della sonorità e della scelta di note nell’accompagnamento.

L’ultimo brano, “Autmn Leaves”, confondeva ancora una volta le carte in tavola: partiti sul piano improvvisativo, Cerri e Mancinelli si sono trovati soltanto alla fine sulle note del celebre tema di Kosma e Prevert.

Un trionfo per un pubblico attento e partecipe, per fortuna con molti giovani studenti, che ha riempito il Ridotto fino all’inverosimile (altre duecento persone non sono potute entrare). Speriamo di riavere Franco Cerri presto, non in una sala grande, però, che potrebbe nuocere al suo suono tanto raccolto e personale, ma magari due sere consecutive proprio al Ridotto, un gioiello di acustica ammirato senza condizioni dagli stessi musicisti.

 

Massimo Tarabelli

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