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HOD O’BRIEN “Blues Alley – First Set & Second Set” – Reservoir (2004)


Eccone un altro. Intendo di quelli sottovalutati, dimenticati o, peggio, ignorati del tutto. E non stiamo parlando di un musicista dell’ultima generazione, ma di un uomo di oltre settanta anni che molto ha contribuito all’affermarsi del bebop negli anni ’50.

 

Sul perché di queste scandalose omissioni ho smesso di dare risposte, perché ormai sappiamo come la stampa, anche quella specializzata che dovrebbe essere al servizio della verità intellettuale, è in realtà figlia e madre di mode e venti culturali che la spingono sempre a privilegiare il nuovo, non importa se di scarso valore, e a sfornare a getto continuo improbabili figure di riferimento, che il tempo provvede regolarmente a far svanire nel nulla. Perciò, ascoltiamo bene tutta la storia del jazz e ragioniamo con la nostra testa. Hod O’Brien, dunque: uno dei miei favoriti in assoluto, fin dai dischi con Oscar Pettiford, Gigi Gryce, J.R.Monterose, Zoot Sims e tanti altri. Il suo rispetto verso il linguaggio di Bud Powell e Al Haig è totale, la sua dedizione a preservare lo spirito del bebop è ammirevole (un vero “keeper of the flame”), ma non siamo certo di fronte ad una carta carbone dei giganti del passato. Al contrario O’Brien, dall’alto di una tecnica straordinaria che gli permette di volare con due mani indipendenti su tutta la tastiera, possiede una specifica personalità che si traduce in lunghe frasi di ferrea, ed emozionante allo stesso tempo, logica discorsiva. Uno “storyteller” pieno zeppo di quella magica parolina che oggi è quasi tabù pronunciare: swing.

E seguite con attenzione i lunghi passaggi a block chords: un’eleganza così l’ho sentita soltanto in Red Garland, e scusate se è poco.

Il repertorio di questi due set (in altrettanti CD) è stupendo e diversificato: nel primo quattro celebri standard sono preceduti da altre quattro perle di jazzisti, talvolta misconosciute. Diciamolo francamente: chi comincerebbe un concerto con “Nothing Like You” di Bob Dorough? Ebbene Hod O’Brien lo fa, a riprova di un rigore artistico che poco o nulla concede alla platea. Il secondo CD ha la particolarità di presentare metà programma dedicato a Ellington, e qui il capolavoro è, secondo me, “Snibor” di Billy Strayhorn, che il Duca incise rare volte (una, menzionata dallo stesso O’Brien, è nel formidabile “And His Mother Called Him Bill”). Se vi soffermate sul tema ad accordi del pianista, vi sembrerà di sentire un’intera orchestra. “In A Sentimental Mood” è un veicolo per Ray Drummond, uno dei migliori bassisti degli ultimi venti anni, e la medley finale è una passerella per tutti.

Fortunato il pubblico del Blues Alley di Washington, ma anche noi non possiamo lamentarci; del resto dischi come questi sono l’unico argine possibile alla  quotidiana invasione di fisarmoniche, oud e tanghi.

Un invito a “Ancona Jazz” : sbrighiamoci ad invitare Hod O’Brien, se no chi altri  ci pensa?

 

Massimo Tarabelli

 

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