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RUDRESH MAHANTHAPPA – BUNKY GREEN : “Apex” – Pi Recordings (2010)

Welcome / Summit / Soft / Playing With Stones / Lamenting / Eastern Echoes /Little Girl I’ll Miss You / Who? /Rainer and Theresia /The Journey


Rudresh Mahanthappa, sax alto;
Bunky Green, sax alto;
Jason Moran, pianoforte;
François Moutin, contrabbasso;
Damion Reid o Jack De Johnette, batteria.

Definito da John Corbett di Down Beat “A great intergenerational conference call”, questo disco si è piazzato al quarto posto nel referendum annuale dei critici, categoria “Migliore jazz album”. Devo dire che è la prima volta che ascolto Mahanthappa, di cui già conoscevo il nome e le lodi, e confermo, almeno da questo disco, un giudizio altamente positivo verso questo musicista di origine indiana, giunto alla maturazione sulla soglia dei quarant’anni, un’età che la storia ci dice molto alta rispetto all’impatto avuto dai grandi maestri. Ma il jazz, pur non avendo esaurito le sue potenzialità d’espressione, è arrivato ad un livello così alto da non meravigliarmi affatto se un musicista ha bisogno di più tempo per elaborare una propria cifra stilistica.

Mahanthappa ha vinto anche nella categoria come miglior sax alto, davanti a gente del calibro di Lee Konitz, Phil Woods, Ornette Coleman, e insomma si staglia come l’uomo nuovo del jazz contemporaneo. Da queste tracce emerge un musicista molto sicuro di sé e della sua scrittura. Se devo trovare per forza un referente, mi sembra di intravedere una qualche eco di fraseggi tipici del già citato Ornette, di cui condivide un forte lirismo che pervade in continuazione queste strutture solide e “libere” allo stesso tempo. La collaborazione con Bunky Green, musicista più navigato ormai oltre i settantacinque anni, con un passato fitto di collaborazioni importanti (Charles Mingus, Ira Sullivan, Andrew Hill, Donald Byrd), e un presente ancora non dovutamente riconosciuto dai jazzofili, appare uno sbocco naturale per un comune sentire il jazz di oggi. Green è un bopper, ovviamente, ma il suo orizzonte si appropria anche di stilemi coltraniani e di un suono che, almeno a me, ricorda spesso il Jackie McLean delle sedute Blue Note più avanzate. Con un repertorio equamente diviso sul piano compositivo, i due altoisti vanno oltre le convenzioni del tema all’unisono, preferendo frasi in contrappunto e appuntamenti volanti che tradiscono una ferma struttura armonica e ritmica, stagliandosi poi ognuno un brano per sé : il sostenuto “Playing With Stones” per Mahanthappa e il delizioso tre quarti “Little Girl I’ll Miss You” per Green, in forma eccellente comunque in ogni pezzo di un disco che, pur sfiorando gli ottanta minuti, si fa ascoltare con estremo interesse e qualche brividino (lo splendido “Lamenting”).

Jason Moran non può passare in secondo piano. Altro campione della nuova scena del jazz, il pianista dimostra di muoversi in totale scioltezza attraverso i meandri di un jazz tanto teso e impegnativo, offrendo un supporto di tocco e fantasia melodica da fuoriclasse (me ne sono convinto definitivamente dopo il concerto di Charles Lloyd alla Mole dell’estate scorsa). Anche Moutin (già con pianisti come Richie Beirach e, soprattutto, Jean- Michel Pilc) fornisce un eccellente contributo d’intonazione e presenza, mentre tra i batteristi il mio favore va a De Johnette quando Reid opta per un uso dei tamburi e della cassa piuttosto pesante, fuori fuoco rispetto ai climi che la musica impone. Ma resta un dettaglio : il disco va ascoltato senza indugi, anche se la sua reperibilità è problematica, per forza attraverso la rete.

Massimo Tarabelli

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