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TOM HARRELL “Light On” – HighNote (2006)

TOM  HARRELL

“Light On” – HighNote (2006)

 

Va /Sky Life /Contrary Mary /Fountain /Nights In Catalonia /The Gronk/ Architect Of Time /Bad Stuff /Blue Caribe /Va (reprise)

 

Tom Harrell, tromba, flicorno; Wayne Escoffery, sax tenore; Danny Grissett, pianoforte; Ugonna Okegwo, contrabbasso; Johnathan Blake, batteria

 

Salutiamo il ritorno sulla scena discografica di un gigante del jazz moderno, il grande  Tom Harrell, su cui aleggiavano voci piuttosto allarmanti su un ulteriore peggioramento delle sue condizioni psicofisiche. Concerti saltati e esibizioni deludenti lasciavano intravedere una carriera alla fine, ma invece ecco di nuovo il trombettista che avevamo amato fin dai primi soli con Horace Silver e Phil Woods in un’opera nuova di zecca, la prima in cinque anni.

 

 

Tom Harrell occupa un posto particolare nei cuori dei jazzofili, quello riservato ai poeti, che non hanno bisogno di voli pirotecnici e sfoggi di virtuosismo per destare emozioni profonde. E qui, in ogni brano, appare in ottima forma nella duplice veste di solista e compositore. Anche la direzione del gruppo, fisso da un paio d’anni, si dimostra sicura e autorevole. I dieci originali hanno una durata media intorno ai sei/sette minuti e il bilanciamento degli interventi  permette un’economia dei soli che va a tutto vantaggio dell’ascolto finale. Poi i temi sono azzeccati, orecchiabili già al primo impatto (eredità di Silver), con un impianto armonico e ritmico diversificato, che suggerisce volta a volta influenze disparate, anche se il collegamento con Miles Davis appare subito evidente fin dal primo brano “Va”. Brani “groovy”, ballads, bop, brasiliani, possiedono un forte sapore evocativo, in cui Tom dimostra di sapersi gestire in modo egregio. Fatto salvo il suono, sempre magnifico e pastoso, con un calore e una rotondità pressoché unici, il trombettista sfugge i timori sull’incerta intonazione svolgendo frasi brevi e mai nervose, percorse da una logicità ammirevole.

E i suoi colleghi non sembrano affatto semplici accompagnatori. Ho molto apprezzato l’apporto del sassofonista inglese Wayne Escoffery (già con la Mingus Big Band, Wynton Marsalis Lincon Center ensembles, Ben Riley’s Monk Legacy), padrone di un linguaggio legato alla tradizione ma con forti aperture all’attualità. Medesimo discorso vale per il pianista Danny Grissett, sciolto e swingante, e assai pertinente al fender rhodes, che infonde un sapore per nulla nostalgico, anzi di colore necessario per questo tipo di musica. E i ritmi sono impeccabili, ci mancherebbe.

Insomma, un disco notevole, da ascoltare ripetutamente, gioioso e di grande fascino, come forse non ci saremmo più aspettato da un personaggio tanto atipico e sfortunato.

Ma il jazz è spesso, per non dire sempre, la migliore cura.

 

Massimo Tarabelli

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