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I Remember You… DAVE McKENNA “McKenna” – Chiaroscuro (1977; LP)

Dave McKenna, pianoforte

I Wished on the Moon/ Avalon /DarnThat Dream /At Sundown /How High The Moon/ Tangerine /

Blue Skies/ What Is This Thing Called Love /What Can I Say After I Say I’m Sorry/ A Gal in Calico
 

Spesso mi chiedono, dopo cinquant’anni di attività e oltre un migliaio di concerti organizzati da Ancona Jazz, se ho dei rimpianti verso qualche musicista. Certo, non potrebbe essere diversamente, e quando ci penso mi balza in testa sempre il solito paio di nomi: uno è Blossom Dearie, e l’altro è Dave McKenna. Ne parlammo più volte con Alberto Alberti e la risposta fu immancabilmente la stessa: anche se il cachet era abbordabile, richieste di un tour – necessario per chi arriva dagli States – non esistevano. Inutile addentrarsi sul perché, ritengo che chi opera nel settore culturale debba puntare senza indugi soltanto sulla qualità senza altre motivazioni, ma tant’è, il mercato ragiona in modo diverso. Quindi, per ascoltare un pianista del calibro di Dave McKenna si doveva andare all’estero (cosa che abbiamo fatto), oppure accontentarsi dei dischi. Per carità, Dave ne ha incisi parecchi, e in tal caso esiste soltanto il problema della scelta. Voglio essere breve, a questo punto: a mio parere siamo di fronte ad uno dei massimi interpreti del piano solo nell’intera storia del jazz, avvicinabile ad Earl Hines e Art Tatum, pur con diversa personalità, è ovvio. Nella sua vasta discografia, Dave ha inciso oltre venti dischi di solo piano (essenzialmente per Chiaroscuro e Concord), e poi numerosi altri in duo o trio senza contrabbasso. D’altronde, non ne aveva affatto bisogno. La sua mano sinistra era un maglio poderoso, capace di percuotere l’ottava bassa dello strumento secondo una funzione di contrappunto ritmico da lasciare stupefatti.
Persona amabile e disponibile, possedeva una cultura specifica impressionante, tanto da esaltare, grazie ad una fantasia sconfinata, anche lo standard più dimenticato. I suoi dischi rispondevano a scelte eterogenee di repertorio oppure a progetti specifici, senza alcun problema espressivo. Per questo è complicato, e anche ozioso, centellinarne i titoli: tutti meritano l’ascolto più attento.
Cosa fa la differenza in “McKenna” è la volontà, da parte del produttore, di ricreare, attraverso i solchi, l’atmosfera di un concerto, idea nata dopo aver sentito il pianista una sera al “Bradley’s”, jazz club di culto rivolto quasi esclusivamente al piano solo. Pertanto, la scaletta segue l’ordine di esecuzione, quasi tutte in “first take”, come si dice. Dave affronta i temi con disinvoltura suprema, del tutto inconsapevole di eventuali errori – proprio come fosse su un palco dal vivo – e sciorina il suo icastico stile, basato sì su un ventaglio di influenze piuttosto ampio, da Teddy Wilson al be-bop, ma stracolmo di idee, di swing e capacità rigeneratrici. Le esclamazioni di stupore, che accompagnano i finali di ogni brano, si amplificano notevolmente dopo il tour de force di “What Is This Thing Called Love”, tema immortale di Cole Porter che servì da base armonica per numerose nuove linee tematiche. Qui McKenna dà libero sfogo a tutte le sue potenzialità e il risultato è da applausi, accessibile a pochissimi, prima e dopo di lui.
Il piano solo è un’arte a sé. Non c’è pianista jazz che non lo abbia praticato, prima o poi, ma pochi ne hanno fatto una ragione di vita, in particolare nel passato (cito, senza attardarmi troppo, Ralph Sutton, Dick Wellstood, Joe Sullivan, Art Hodes), e meno nel presente (anche qui, i primi nomi che mi vengono in mente sono quelli del finlandese Iiro Rantala e degli americani Fred Hersch e Craig Taborn). Tuttavia, ben pochi hanno raccolto l’eredità di Dave McKenna, la dedizione verso la storia e un fraseggio, tra stride e moderno, che non ha affatto esaurito la sua forza creativa. Tra questi, il più dotato è incredibilmente, e forse avete già capito di chi parlo, l’italiano Rossano Sportiello, residente in USA per motivi di lavoro, ma che quando torna in patria, amiamo ripresentare al nostro pubblico. È così che il jazz mantiene ben saldi i suoi legami con la tradizione, così il presente può dare il testimone al futuro.

Massimo Tarabelli

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